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Benefizio della Morte di Cristo

di

Aonio Paleario (Antonio della Paglia)

1500 - 1570, Reformer Italiano
Martyr Protestante, Roma, 1570

Paleario was taken by the Inquisitor Angelo di Cremona, removed to Rome and imprisoned for three years under Pope Pius V. After he was tried and condemned by the Roman Catholic Inquisitors, he was burned in 1570 for his steadfast faith in the Gospel of Jesus Christ as it was originally preached.

Originalmente pubblicato 1543

1849 Edizione in Italiano, Pisa, Italia

Ristampato da HAIL & FIRE 2009

Benefizio della Morte di Cristo by Aonio Paleario (1849 Edition in Italian)

HAIL & FIRE REPRINTS 2009

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Benefizio della Morte di Cristo di Aonio Paleario (Originalmente pubblicato 1570; 1849 Edizione in Italiano)

INTRODUZIONE

Un breve cenno sull'autor del seguente trattato che porta il titolo "Benefizio della morte di Cristo," gli servirà di semplice introduzione, giacchè si spera che presto un ultra penna darà la vita e un analisi delle opere di questo illustre italiano, le di cui ceneri, come quelle di Savonarola e di altri, fanno testimonianza, che le pure e schiette verità del Vangelo da tanti secoli malvagiamente repudiate, oggi risorgono a nuova vita. Questi sommi, “de' quali non era degno il mondo” come gli altri, di cui fa menzione S. Paolo, furono fatti morire nelle fiamme “non avendo accettata la liberazione da quelle pene atroci affin di ottenere una miglior risurrezione" ma essi come è detto “dopo esser morti, parlano ancora” (Ebrei 11).

Antonio della Paglia, o come egli aveva in uso chiamarsi Aonio Palearlo, nacque circa il 1500 a Veroli, Campagna di Roma. Ebbe a maestri uomini sommi; egli fu stimato per lettere e scienze. I suoi talenti e la gentilezza dell' animo suo gli procacciarono l'amicizia dei dotti, e di altre persone, cui, meglio che toga o porpora, distingueva hontà di cuore, e sensatezza d' ingegno. Furono di lui amici il cardinal Sadoleto e Polo, generalmeute creduti inclinati alle dottrina della Riforma della Chiesa.

Passati alcuni anni a Roma, il Paleario si portò a Siena, dove poi tolse a moglie donna bennata e gentile, che lo fece padre di due figli e due figlie. Fu dal Senato di Siena impiegato a pubblico precettor di lettere greche e latine, poscia a lettore di filosofia. Egli fece studio sulla Parola di Dio e sulle opere dei Teologi di Germania, essendo già ricco di una istruzione eminentemente cristiana e di un'animo ben diverso da quello dei suoi condiscepoli, e per questo fu maggiormente inviso alle autorità della Chiesa. Il cardinal Sadoleto lo avvertì del pericolo che correva, e io ammonì di dar luogo al tempo, o almeno di celare i suoi sentimenti con un linguaggio più cauto. Ma tali consigli ebber poco effetto sull’animo vivo e zelante di Paleario; onde egli continuò ad an-nunziare le sue opinioni colla maggior libertà. Quindi la sua condotta fu sorvegliata , impiegandosi ogni arte per accelerare su lui l'imputazion di eresia. Per la qual cosa avendo esse tacciato d'ipocrisia un tale ecclesiastico, il qual tutto assiduo in prostrarsi davanti alla reliquia di un santo, era poscia trascuratissimo nel pagare i suoi debiti, il Paleario fu tacciato come empio e dispregiatore dei Santi.

In una delle sue lettere narra d'un fatto, il quale ci prova la sua persecuzione “Colta asserisce, che se mi si lascia in vita, non vi resterà più vestigio di religione nella citta! E perchè? Perchè domandato un giorno qual fosse la prima cosa, in cui gli uomini dovessero rinvenire la loro salvezza, io risposi: Cristo; domandato poi qual fosse la seconda, io risposi: Cristo; quale la terza, ed in sempre risposi: Cristo” (1 Corint. 1: 30; 8:6. Not. dell’ edit.).

Le' accuse contro di lui furono poi portate al l’estremo per la pubblicaziono del suo trattato sul “Benefizio della morte di Cristo” pubblicato nel 1543. L’incontro che ottenne, l'avidità ed il piacere col quale fu letto, per essere scritto in buon italiano, accrebbe l'ira e il veleno ne' suoi oppositori. Ottone Melio Colta sopra nominato fu il nemico suo più accerrimo, e con lui trecento si unirono ai danni di Paleario. Per la qual cosa a rendere più certa la sua condanna, dodici d'essi furono scelti a testimoniare contro di lui. In consegnenza di ciò egli dovette difendersi innanzi al Senato di Siena, e lo fece con sì buone ragioni da riportarne vittoria. Vi sono alcuni censori, egli dice, che sono dispiacenti, allorquando noi diamo le più alte lodi all'autore della nostra salvezza, Cristo, il re di tutte le nazioni e di tutti i popoli: perciocchè io ho scritto in lingua toscana, per dimostrare quanti gran benefizi derivano al genere umano dalla sua morte, fu fatta un accusa criminale contro di me! È egli possibile di proferire o iminaginar cosa alcuna più vergognosa? Io dissi, che dope aver Egli, in cui sta la divinità, versato il sangue della sua vita così amorosamente per la nostra salvezza, noi non dobbiamo dubitare del beneplacito del cielo, ma riprometterci invece la maggior tranquillità e la pace. Io affermai coll’ appoggio di documenti incontestabili dell’antichità, che coloro i quali rivolgonsi colle loro antme a Cristo crocifisso, si affidano per mezzo d'esso per fede, a Colui il quale non può ingannare; son liberati da ogni sorta di mali, e godono del perdono di tutti i loro p'eccati. Queste cose sembrarono così enormi, cosi detestabili, così esecrabili ai dodici, non so se io dovrò chiamar uomini o bestie feroci, che giudicarono dorersi l'autore mandare alle fiamme. Se io debbo subire questa punizione per 1'anzidetta testimonianza (imperciocchè ben io la credo testimonianza più che libello), i Senatori non possono farmi cosa più grata. In tempi siccome questi, io non penso che un cristiano debba morir nel suo letto. Il venire accusato, l'essere cacciato in prigione, l'essere flagellato, impiccato pel collo, cucito in un sacco, esposto a bestie feroci, è poca cosa: mi facciano pure arrostire quantunque volte la verità venga alla luce per tal mia morte!” (Orat. pro se ipso ad Patr. Conscript. Reip Senensis.)

Comunque sgomentati per quella volta, coloro che maladicevano Paleario, tuttavolta non lo lasciarono io quiete; per la qual cosa egli fu poco dopo obbligato partirsi da Siena. Invitato dal Senato di Lucca, si rifuggì in quella città, dovo prese a insegnare, e in una importante occasione fu pure oratore della Repubblica. Ma uno dei suoi ostinati nemici, Macco, chiamato per soprannome Blaterone, lo inseguì fin la, e trovandosi nuovamente confuso per 1'eloquenza e pel nobile contegno di Paleario, immiginò una vendetta contro lui, giovandosi dei Domenicani che fiorivano alla corte di Roma. Ma Paleario aveva anche degli amici colà, i quali sventarono per il momento le accuse di quel suo avversario.

Lo stipendio del suo impiego in Lucca sembra esser stato men che sufficiente per il conveniente mantenimento di se e della sua famiglia, ond' egli soffriva nel veder sua moglie patir delle privazioni, alle quali non era assuefatta. Però dopo esser rimasto dieci anni in quell'impiego, ne accetto un'altro più vantaggioso, propostogli dal Senato di Milano, la cattedra di eloqueza, Con una provvisione più pingue e vari privilegi ed immunita poteva augurarsi passar comodamente il resto della sua vita; ma i suoi persecutori si aumentavano ogni giorno; e Paleario, dopo sette anni passati in mezzo a pericoli, pensò trasferirsi a Bologna, allorche nel 1566, salito sulla sedia Papale Pio V, tornarono a riprodursi l'accuse contro l’autore del “Benefizio della morte di Cristo.” Un inquisitore, frate Angelo da Cremona, andò ad arrestarlo, lo menò a Roma, e cola fu rinchiuso nel durissimo carcere di Tordinona.

A quattro principalmente si riducevano i suoi capi d'accusa. Che egli negasse il purgatorio; che disapprovasse il seppellir nelle Chiese, e preferisse l'antico costume romano di dar sepoltura ai morti fuor delle mura; che ponesse in ridicolo la vita monastica; finalmente che attribuisse la giustificazione solamente per fede nella misericordia di Dio, che perdona i nostri peccati per Gesù Cristo. Ne' suoi costiluti sembra aver mostrato una grande fermezza. Chiamato dinanzi ai Cardinali della Inquisizione, egli indirizzò loro queste parole: (è un suo nemico che le riporta) (Laderchi, il continuatcr del Barouto). “Poichè le vostre Eminenze hanno contro di me tante buone prove, non fa di bisogno nè di prendere per loro, nè di dare a me più lungo fastidio. Io son risoluto di agire secondo il consiglio del benedetto Apostolo Pietro dov' egli dice “Cristo ha sofferto per noi lasciandoci tal esempio, che noi dobbiamo seguir le sue orme, il quale non fece alcuna male, nè si trovò frode sulle sue labbra, che essendo ingiuriato non rese inguria, e soffrendo non minacciò, ma affidò se stesso a colui il quale giudica giustamente.” Procedete dunque nel dare il vostro giudizio, pronunziate pur la sentenza sopra Aonio, e date in tal guisa a suoi avversari soddisfazione; e al vostro incarico adempimento.” La sentenza fu proferita; e, dopo tre anni di penosissimo carcere, egli fu condannato ad essere sospeso alla forca, e poscia dato alle fiamme; sebbene alcuni asseriscano che foss' egli invece bruciato vivo.

Gli Inquisitori, siccome era loro costume, propalarono che Paleario si fosse pentito. A tal effetto si cita una certa memoria anonima, la quale si dice essere un documento officiale dei Domenicani, che assisterono a suoi ultimi moment (Articolo e memoria copiata dai Ricordi spettanti a S. Giovanni de' Fiorentini di Roma. Questa memoria, insieme colle lettere segueuti, furono ristampate in itatiano da Schuhorn). Ma questa asserzione è confutata da un autore più certo, Laderchi, il quale trasse i suoi materiali dall' archivio della Inquisizione. Ond' egli dice: “Quando si vide, che questo figlio di Belial era refrattario e ostinato, nè si poteva per alcun mezzo ricondur dalle tenebre dell' errore alla luce della verità, egli fu meritamente consegnato alle fiamme, affinchè dopo aver quìvi sofferto momentanei tormenti, si trovasse egli pescia nel fuoco eterno.” Certo le ultime lettere che il Paleario scrisse alla sua famiglia la mattina stessa della sua morte mostrano bastantemente la falsità della sua pretesa ritrattazione, imperciocchè egli avrebbe in coteste dovuto esprimere il suo pentimento, se pure lo avesse provato. Ecco qui le sue lettere alla moglie ed ai figli.

Mia carissima Consorte.

Io vorrei che voi non vi affiggeste della mia gioia; nè vi facesse male il mio bene. È giunta l'ora ch' io debba passare da questa vita al mio Signore e Padre e Dio. Parto così allegramente, come se dovesse andare alle nozze del figlio del gran re; il che ho già pregato il mio Signore di concedermi per sua infinità bontà e misericordia. Pertanto, mia carissima consorte, consolatevi nella volontà di Dio, e nella mia rassegnazione. Abbiate cura della desolata famiglia che mi sopravvive, educandola, e conservandola nel timor di Dio; e siate padre e madre nello stesso tempo. Io sono adesso un vecchio di settant’ anni, inutile. I nostri figli debbono pensare a se stessi con la virtù, con l'industria, e a menare una vita onorata. Iddio Padre, il Nostro Signor Gesù Cristo, e la communione dello Spirito Santo sia col vostro spirito.

Roma 3 Luglio 1570.

Il tuo consorte Aonio Paleario.

A Lampridio e a Fedro, diletti figli.

Questi miei cortesissimi Signori non diminuiscono punto la loro gentilezza a mio riguardo in questi estremi momenti, e mi permettono di scrivervi. Piace a Dio chiamarmi a se con questo mezzo che può sembrarvi aspro e penoso; ma se lo riguardate propriamente accadere con mia piena rassegnazione e allegrezza d'animo, troverete il vostro sollievo nella volontà di Dio, come avete fatto finora. Vi lascio in patrimonio l’industria e la virtù con tulli i beni che già possedete; vi lascio senza debiti. Molti domandano sempre, mentre devono dare.

Sono già più di anni diciotto che siete emancipati; voi non siete tenuti per i miei debiti . Quando sarete chiamati per soddisfarli ricorrete a Sua Ecccllenza il Duca; che non vi farà torto. IIo richiesto a Luca Pridio una nota di quello che devo, e di quello che mi si deve. Prendete la dote di vostra madre, educate la piccola vostra sorella come Iddio vi farà la grazia, salutate Aspasia e la Sorella Aonilla, mie care figlie nel Signore. La mia ora si avvicina. Lo Spirito di Dio vi consoli, e vi conservi nella sua santa grazia.

Roma, 3 Luglio 1570.

Vostro padre Aonio Paleario.

Soprascritta.

Alla sua carissima consorte Marietta Paleari, e a' suoi cari figli Lampridio e Fedro Paleari; a Colle di Val d'Elsa, nei sobborghi di Santa Caterina.

Dopo questi ultimi addio, egli si diede in braccio ai carnefici, ed entrò nell' eterno riposo.

Fortunatamente ci sono rimaste molte sue opere, imperciocchè prima di essere arrestato pensò sot-tratle al pericolo stesso al qual' era esposto, di andare cioe in preda alle fiamme. Egli le aveva affidate ad alcuni suoi amici, i quali dopo la sua morte le pubblicarono e ne furon falle molte edizioni in altri paesi; sicchè non solo superstiti, ma rimasero pure esenti da quelle mutilazioni alle quali andaron soggette le opere de’ suoi compagni. Dalle sue lettere rilevasi come foss'egli ricco di amici e grandemente stimato dai contemporanei i più sapìenti di quel tempo. Oltre il Sadoleto ed il Polo, egli era in corrispondenza coi chiarissimi ingegni del Bembo, Maffei, Badìa, Sfrondati, Nardi, e ancore, di Flaminio, Riccio, Alciato Vittorio, Lampridio, Buonamici. Il suo poema intorno alla Immortalità dell'Anima, sul quale il Sadoleto scriveva al Grifei, essere scritto con tanta gravita ed erudizione, con tale eleganza di espressione e di versi, ch'egli pensava non aver mai letto produzione de' suoi tempi più di quello in tal genere lo dilettasse.” Le sue orazioni sono in buon numero, e valgono molto più di quelle scritte da coloro che si ebbero fama di ciceroniani. La sua bellissima lettera diretta ai Padri del Concilio di Trento, la sua professione di fede, e il suo discorso contro i papi, ci fanno fede della sua grandissima cognizione della sacra scrittura,della sua solidità ed integrità nella fede cristiana, del suo candor di animo, del suo fervore, del suo zelo; onde egli fu veramente un riformatore, ed un martire della verità.

Fra tutte le sue opere la più stimata si fu il trattato sul Benefizio della Morte di Cristo, il quale grandemente piacque, comunque apparisse senza nome dell'autore. Quaranta mila copie se ne esitarono nello spazio di sei anni. L'attivita impiegata nel far circolare questo trattato fu l'onorata e santa cagione, che il Cardinal Morone fosse rinchiuso in un carcere, e il Carnesecchi bruciato dalla Inquisizione. E lo zelo impiegato dal domenicano Ambrogio Caterino per confutare quest'aureo trattato, e per impedirne per quante fosse possible la circolazionc; gli fruttò un vescovado. Scritto in italiano non ebbe luogo nella collezione delle sile opere latine: circolò a parte, e sempre a parte fu ristampato, Fuori d'Italia fu tradotto in varie lingue; in Italia i preti dopo lunghe e continue ricerche riuscirono a distruggere presso che i 40,000 esemplari. Non si crederebbe se il fatto non fosse da tutti attestato, Cotesto aureo trattato non si conosce nella lingua originale: rarissima e la traduzione francese. Fu tradotto in Inglese fino dal 1577. Questa antica traduzione è stata ora corretta e pubblicata di nuovo. Da quella tradotto, viene ora nella nostra lingua pubblicato, per certo non nello stile di Paleario, ma nel miglior che ci è dato, affinchè l'Italia recuperi un libro così interessante, scritto con tanta unzione da un nostro, fratello, da un riformatore e martire della vera, e primitiva antica Chiesa italiana.

Pisa, 20 Gennajo 1849.

"Others had trial of cruel mockings and scourgings, yea, moreover of bonds and imprisonment: They were stoned, they were sawn asunder, were tempted, were slain with the sword: they wandered about in sheepskins and goatskins; being destitute, afflicted, tormented; (Of whom the world was not worthy:) they wandered in deserts, and in mountains, and in dens and caves of the earth." Hebrews 11:36-38 KJV
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